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Cannabis light in Italia: il Tribunale di Trento stabilisce che è legale se priva di efficacia drogante

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La storia della cannabis light in Italia è stata segnata da anni di incertezze normative, interpretazioni contraddittorie e decisioni giurisprudenziali spesso discordanti. Molti operatori della filiera hanno vissuto questa fase come un continuo alternarsi di speranze e timori, con la consapevolezza che un nuovo decreto o una diversa sentenza potessero ribaltare equilibri faticosamente raggiunti. L’8 settembre 2025 il Tribunale di Trento ha emesso un’ordinanza destinata ad avere un impatto rilevante: la cannabis light è legale se priva di efficacia drogante. Con questa affermazione i giudici hanno fornito una base chiara a produttori, rivenditori e consumatori, rafforzando l’idea che la filiera della canapa possa operare nel rispetto delle regole senza il rischio costante di criminalizzazione.

Il ricorso contro il Decreto Sicurezza 2025 e l’articolo 18

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da Canapa Sativa Italia e Imprenditori Canapa Italia, supportati da diversi operatori agricoli e commerciali, contro l’articolo 18 del Decreto Sicurezza (DL 48/2025). Questa norma, per come formulata, aveva suscitato grande preoccupazione: sembrava voler equiparare le infiorescenze di cannabis light alle sostanze stupefacenti, senza distinguere tra prodotti ad alto contenuto di THC e varietà certificate con valori legali.

Una simile interpretazione avrebbe significato bloccare un settore che oggi in Italia conta oltre 12.000 addetti e un giro d’affari stimato in 150 milioni di euro l’anno. Un comparto che non solo rappresenta una fonte di lavoro per migliaia di famiglie, ma che ha contribuito alla diversificazione agricola, alla valorizzazione dei territori marginali e all’introduzione di modelli produttivi sostenibili. La prospettiva di chiusure, sequestri e processi avrebbe colpito duramente la filiera della canapa light, mettendo a rischio anni di investimenti e di crescita economica.

Il pronunciamento dei giudici di Trento

Nella sua ordinanza, il Tribunale di Trento ha stabilito che l’articolo 18 del Decreto Sicurezza è da considerarsi “meramente ricognitivo”. In altre parole, non introduce nuove disposizioni, ma ribadisce quanto già previsto dalla normativa e dalla giurisprudenza consolidata. La cannabis light non può dunque essere considerata stupefacente se priva di efficacia drogante. Ciò significa che non è sufficiente valutare il livello di THC presente in un prodotto: ciò che conta è la sua capacità effettiva di generare effetti psicotropi sull’organismo. Se tale capacità è assente, il prodotto rientra a pieno titolo nel mercato legale.

Questa precisazione è fondamentale perché rafforza la distinzione tra cannabis light e marijuana ad alto contenuto di THC. La prima è parte di una filiera agricola e commerciale legittima, la seconda resta invece soggetta alle norme penali sugli stupefacenti. Il pronunciamento di Trento si inserisce così in una linea interpretativa che punta a garantire certezza del diritto e tutela per gli operatori onesti.

Riferimenti giuridici richiamati

I giudici trentini hanno richiamato una serie di riferimenti giuridici che hanno già segnato la storia della cannabis light in Italia:

  • La Cassazione a Sezioni Unite n. 30475/2019, che ha introdotto il principio dell’“offensività concreta” e stabilito che non ogni presenza di THC è sufficiente a determinare la rilevanza penale.
  • Le sentenze del TAR Lazio del 2023, che hanno rafforzato il principio di proporzionalità e difeso gli operatori della filiera contro interpretazioni restrittive.
  • La Cassazione penale n. 48581/2022, che ha confermato l’importanza di valutare l’efficacia drogante in modo concreto e non astratto.
  • La Relazione della Corte di Cassazione n. 33/2025, che ha ribadito la necessità di armonizzare la normativa nazionale con il diritto europeo.

Questi riferimenti consolidano un quadro normativo e giurisprudenziale ormai chiaro: la cannabis light, se priva di efficacia drogante, non rientra tra le sostanze stupefacenti e non può essere oggetto di sanzioni penali.

Le testimonianze degli imprenditori della filiera

“Questa ordinanza restituisce dignità a una filiera che ha portato lavoro e innovazione, ma che è stata troppo spesso penalizzata da norme confuse.”

— Andrea Cavattoni, titolare dell’azienda agricola “Cime di Montagna”

La voce degli imprenditori è fondamentale per comprendere la portata della decisione. Molti di loro hanno subito negli anni sequestri, indagini e chiusure ingiustificate, pur operando nel rispetto delle norme. La decisione di Trento viene letta come un atto di giustizia e come un’opportunità per ripartire. La cannabis light non è solo un business, ma una risorsa capace di sostenere l’economia agricola, creare occupazione giovanile e incentivare un modello produttivo sostenibile. È anche un elemento di trasparenza per i consumatori, che possono affidarsi a prodotti certificati e tracciabili.

La difesa degli avvocati Bulleri e Libutti

“Punire indiscriminatamente la cannabis light sarebbe contrario al principio di proporzionalità e incompatibile con i valori costituzionali ed europei.”

— Avv. Luca Bulleri e Avv. Alessandro Libutti

Gli avvocati che hanno difeso il ricorso hanno sottolineato come la decisione del Tribunale di Trento rappresenti un baluardo a difesa non solo delle imprese, ma anche dei principi fondamentali del diritto. La proporzionalità, la libertà di impresa e la coerenza con il diritto europeo sono stati riconosciuti come pilastri imprescindibili. L’ordinanza viene letta come un atto di coerenza e di responsabilità istituzionale.

La dimensione europea e il diritto comunitario

L’ordinanza di Trento non si limita al contesto nazionale, ma si inserisce in una cornice più ampia, quella europea. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte ribadito che i prodotti a base di canapa non possono essere vietati indiscriminatamente se privi di efficacia drogante. I principi comunitari di proporzionalità, libera circolazione delle merci e concorrenza leale costituiscono un riferimento imprescindibile per gli Stati membri. L’Italia, di conseguenza, non può adottare misure che violino queste regole senza incorrere in sanzioni o conflitti giuridici a livello comunitario.

Implicazioni per produttori, negozi e consumatori

L’impatto della decisione del Tribunale di Trento si estende a tutta la filiera. Per i produttori agricoli, significa maggiore stabilità nella pianificazione delle coltivazioni. Per i rivenditori, la possibilità di commercializzare i prodotti in un contesto più chiaro e sicuro. Per i consumatori, la garanzia di accedere a prodotti legali, sicuri e certificati. Le analisi di laboratorio, la tracciabilità e le certificazioni diventano strumenti essenziali per consolidare la fiducia e rafforzare il mercato legale. Una filiera regolamentata non solo tutela chi vi opera, ma contribuisce anche a contrastare il mercato nero.

Normativa frammentata: rischi e incertezze

Nonostante il pronunciamento positivo, la situazione normativa italiana resta complessa. Negli anni, diversi tribunali e procure hanno adottato interpretazioni differenti, creando una giurisprudenza a “macchia di leopardo”. Questa disomogeneità ha alimentato un clima di incertezza che scoraggia gli investimenti e genera diffidenza tra i consumatori. Le imprese si trovano spesso costrette a difendersi in tribunale, anche quando operano nel pieno rispetto della legge. Senza un intervento legislativo chiaro e organico, il rischio di nuovi conflitti rimane elevato.

Prospettive future: verso una riforma organica della cannabis in Italia

L’ordinanza del Tribunale di Trento ha riacceso il dibattito politico e sociale sulla necessità di una riforma organica che disciplini definitivamente la cannabis in Italia. Le associazioni di categoria e gli imprenditori chiedono una legge chiara che distingua senza ambiguità la cannabis light dalle sostanze stupefacenti, che definisca parametri certi per il THC e che regoli in modo trasparente l’intera filiera. Una normativa stabile e coerente garantirebbe certezza del diritto, favorirebbe investimenti e permetterebbe all’Italia di allinearsi agli standard europei. È un passaggio indispensabile per valorizzare la filiera della canapa come risorsa economica, agricola e ambientale, capace di coniugare sostenibilità e innovazione.

Conclusioni

L’ordinanza del Tribunale di Trento non è solo un passaggio tecnico-giuridico: è il segnale che la cannabis light in Italia non può più essere trattata come un fenomeno marginale o incerto. La conferma della sua legalità quando priva di efficacia drogante ridà stabilità a una filiera che negli ultimi anni ha subito colpi durissimi da norme ambigue, interpretazioni restrittive e ricorsi giudiziari.

Il messaggio che emerge è duplice: da un lato la tutela dei consumatori e della salute pubblica, dall’altro il riconoscimento di un settore agricolo e commerciale innovativo, sostenibile e ormai radicato. La cannabis light si conferma quindi non un “vuoto normativo”, ma un comparto legittimo, disciplinato da regole precise e rafforzato da una giurisprudenza consolidata.

Resta la necessità di una riforma organica, capace di eliminare definitivamente l’incertezza normativa e di allineare l’Italia agli standard europei. Solo una legge chiara e stabile potrà garantire futuro alla filiera della canapa, offrendo agli imprenditori sicurezza giuridica, ai lavoratori prospettive di crescita e ai consumatori trasparenza e garanzia di qualità.

La partita, dunque, non è chiusa: l’ordinanza di Trento è un passo importante, ma sarà la politica a dover scrivere l’ultimo capitolo.

 
Pubblicato in: Leggi e decreti

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