
Cannabis light:Perché le ultime sentenze smontano art 18 Palermo, Belluno, Torino
Tra il 12 e il 14 ottobre 2025 tre aule – Palermo, Belluno e Torino – hanno rimesso al centro la prova scientifica: senza misure analitiche dell’efficacia drogante non c’è reato, non reggono sequestri “a vista” e non si giustificano misure cautelari. Queste pronunce non cancellano l’articolo 18 del decreto poi convertito in Legge 80/2025, ma ne impediscono l’uso come “ban” penale automatico sulle infiorescenze. È un cambio di passo che valorizza offensività in concreto, proporzionalità e diritto UE, in continuità con i precedenti – Tribunale di Trento in primis – e con l’orientamento di legittimità maturato negli anni.
Palermo, Belluno, Torino: tre decisioni, un filo rosso
Nelle stesse 48 ore si è composta una trama coerente. A Palermo un giudice ha annullato il sequestro di infiorescenze di cannabis light legali a un’azienda agricola: la conformità botanica (canapa certificata UE) non basta ad alimentare l’accusa; occorre una prova scientifica che quel materiale abbia effettiva capacità drogante. Senza misure del THC attivo su campione rappresentativo – e senza un rapporto tecnico che leghi quantità e potenziale effetto psicotropo – il sequestro non sta in piedi. A Belluno, dopo un maxi sequestro a Longarone, l’imprenditore Enrico Follador è stato rimesso in libertà entro 24 ore con decreto della Procura di Belluno: il solo peso del materiale non prova lo spaccio e, in assenza di accertamenti tecnico-analitici, la compressione della libertà personale non è sostenibile. A Torino, infine, il GIP del Tribunale ha archiviato su richiesta della Procura con la formula “il fatto non sussiste”: determinante la fragilità dei narcotest rapidi – positivi ai cannabinoidi ma privi di qualunque percentuale – e il richiamo a una soglia tossicologico-forense di riferimento (0,6%) come indice orientativo e non come “nuova legge”.
Il filo rosso è netto: campionamento corretto, doppio campione per controanalisi, catena di custodia, laboratori accreditati e quantificazione del THC “attivo” (dopo decarbossilazione) sono il discrimine tra ipotesi e prova. Dove questi requisiti mancano, sequestri e arresti si sbriciolano.
Puglia e Veneto: i precedenti che hanno preparato il terreno
Anche Puglia e Veneto avenano anticipato le mosse qualche tempo fa: Il cambio di paradigma non nasce dal nulla. In Puglia,a fine settembre, un giovane imprenditore agricolo è stato trattenuto per oltre 72 ore dopo un sequestro “monstre” (fiori e derivati per centinaia di chili); il GIP ha rigettato la richiesta di custodia cautelare del PM e ne ha disposto la scarcerazione: “allo stato non è affatto scontato che il materiale abbia efficacia drogante”. In quel fascicolo la difesa, curata dagli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio, ha esibito certificazioni tossicologiche e tracciabilità completa, mettendo in luce l’assenza di misure valide su THC attivo.
In Veneto, prima del caso di Longarone, la tensione era già salita: a Pedavena (Belluno) i Carabinieri avevano contestato 30 kg di infiorescenze, con arresto e domiciliari, in attesa degli esiti tecnici. Pochi giorni dopo, sempre nel Bellunese, la Squadra Mobile è intervenuta su un altro appezzamento (Longarone), ma lì l’assenza di riscontri analitici immediati ha portato la Procura a disporre rapidamente la libertà dell’indagato, segnalando che il solo “peso” non fa prova di spaccio. Questi episodi – Puglia e Veneto – hanno reso evidente, prima ancora del trittico di ottobre, che senza numeri affidabili l’automatismo punitivo non regge.
Cosa dice davvero l’articolo 18: severità del testo, limiti dell’automatismo
L’articolo 18 del DL 48/2025 (poi L. 80/2025) ha disegnato un perimetro severo: divieto di importare, lavorare, detenere, cedere, distribuire, commerciare, trasportare, inviare, spedire, consegnare, vendere al pubblico e consumare prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (anche essiccate o triturate) e derivati (estratti, resine, oli), salva la lavorazione per la produzione di semi. Da qui è nata la narrativa del “divieto assoluto”.
Ma il diritto penale resta governo di offensività e proporzionalità: l’esistenza di un divieto amministrativo non trasforma da sola un prodotto in stupefacente. Nei tribunali, infatti, il dispositivo non si applica per slogan: per integrare il reato occorre dimostrare che quella specifica sostanza abbia capacità drogante in concreto, misurata con metodi standardizzati e ripetibili.
Ecco perché i giudici chiedono quantificazione del THC attivo, campioni a peso costante, incertezza di misura dichiarata nel rapporto tecnico, laboratori con accreditamento e tracciabilità dei lotti. L’articolo 18 è severo, sì, ma non autorizza scorciatoie: la sua applicazione penale passa da una verifica tecnico-scientifica che rispetti garanzie costituzionali e quadro UE. In mancanza, il confine tra canapa industriale e stupefacente non è superato.
La bussola interpretativa: offensività in concreto, proporzionalità, metodo
C’è un motivo se tante decisioni puntano nella stessa direzione: i magistrati stanno leggendo l’art. 18 alla luce di un quadro interpretativo che richiama Costituzione, diritto dell’Unione e rigore probatorio. In questa prospettiva la nozione di “offensività in concreto” torna cardine: niente sequestri a vista, niente scorciatoie probatorie, niente equiparazioni semplificatorie “fiore = reato”. Conta come è stato prelevato il campione, chi lo ha analizzato, con quali metodi (HPLC o GC), se è stata garantita la controanalisi, quale valutazione tossicologica lega i numeri all’effetto psicoattivo sull’utilizzatore. È una bussola autorevole che non sostituisce le sentenze ma orienta Procure, GIP e forze dell’ordine verso metodi comparabili e controlli seri.
Fonte autorevole: Corte Suprema di Cassazione — Ufficio del Massimario e del Ruolo (Servizio penale), “Relazione su novità normativa n. 33/2025”, 23 giugno 2025; analisi del D.L. 11 aprile 2025, n. 48, convertito nella Legge 9 giugno 2025, n. 80; pubblicazione sul portale istituzionale della Corte; focus su proporzionalità, “offensività in concreto” e profili UE dell’art. 18.
Il precedente di Trento e l’eco delle Sezioni Unite 2019
Settembre ha segnato uno spartiacque. L’ordinanza del Tribunale di Trento del 5 settembre 2025 (giudice Poli) ha chiarito che l’art. 18 è ricognitivo, non creativo di nuovi reati: in materia di cannabis light decidono i dati analitici e la capacità drogante. Quel provvedimento salda la prassi recente con le Sezioni Unite 30475/2019, dove si afferma che i derivati della cannabis sono punibili solo se idonei a produrre effetti stupefacenti in concreto. È la stessa logica che ritroviamo in ottobre: a Palermo si ferma il sequestro senza prove di efficacia drogante; a Belluno svaniscono misure fondate sul solo peso del materiale; a Torino si chiude con l’archiviazione perché i narcotest non quantificano quanto THC c’è.
Quanto al “0,6%”, si tratta di un riferimento tecnico-forense utile a valutare la plausibilità tossicologica, non di una soglia legale autonoma. Il punto resta uno: campioni ben fatti, misure affidabili, nesso tra numeri ed effettiva pericolosità. Così si garantiscono sicurezza pubblica e diritti, senza schiacciare un’economia agricola che chiede regole chiare.
La prova regina: analisi di laboratorio, non reazioni cromatiche sul campo
I narcotest da campo sono strumenti spia: rilevano genericamente cannabinoidi e possono dare positivi anche su prodotti legali. Per un giudice non basta. La differenza la fa la quantificazione del THC “attivo” dopo decarbossilazione, eseguita da laboratori accreditati secondo ISO 17025, con HPLC o GC; contano campionamenti rappresentativi, doppio campione per controanalisi, catena di custodia tracciata, peso costante prima dell’analisi e incertezza di misura esplicitata. È questo il linguaggio che la giurisdizione capisce e pretende.
A Torino questa impostazione ha pesato: di fronte a test qualitativi senza percentuali, la Procura ha riconosciuto che la legittimità della vendita di cannabis sativa si valuta sui numeri, non sull’etichetta; il GIP ha accolto con la formula piena “il fatto non sussiste”. A Palermo e Belluno la musica non cambia: assenza di prova scientifica, misure ridimensionate o revocate. È il passaggio cruciale dalla sospetta apparenza alla prova misurabile: quello che distingue l’ipotesi dalla responsabilità.
Impatti per coltivatori e negozi: documentare tutto, alzare la soglia di compliance
Per la filiera della canapa industriale la rotta è netta: documentare tutto e alzare l’asticella della compliance. Significa tenere pronti certificati dei semi UE, registri di coltivazione, contratti di filiera, schede analitiche aggiornate con THC attivo, etichette chiare con lotto e destinazione d’uso, manuali interni per i controlli. In caso di verifica occorre pretendere un campionamento rappresentativo, chiedere il doppio campione per la controanalisi, annotare la catena di custodia e, se necessario, presentare istanza di restituzione in modo tempestivo.
Da prassi virtuosa a scudo probatorio: quando l’operatore espone tracciabilità, analisi recenti e procedure standardizzate, il quadro cambia subito. Non si tratta di una “via di fuga”, ma di ciò che la scienza – e dunque il diritto – chiedono per distinguere il lecito dall’illecito. La stessa comunicazione al cliente finale (informazioni chiare su provenienza, lotto, composizione) riduce incomprensioni e rende meno probabile il contenzioso.
Cosa cambia per forze dell’ordine e Procure: niente automatismi, più laboratorio
Per forze dell’ordine e uffici di Procura la regola operativa è: no arresti a vista, no sequestri fondati su test qualitativi isolati. Prima si campiona correttamente, poi si misura in laboratorio, quindi si valuta l’offensività in concreto. Questo significa più archiviazioni quando mancano dati tecnici, meno contenziosi inutili e più risorse per i casi davvero pericolosi. È una razionalizzazione che tutela la sicurezza pubblica proprio perché investe dove l’offesa è reale e dimostrabile.
Uniformare le prassi – sui verbali di campionamento, sulla gestione del doppio campione, sulla richiesta di analisi con metodi validati – riduce le incertezze e aumenta la qualità degli accertamenti. Anche qui vale il principio di proporzionalità: non ogni sospetto merita la stessa risposta, e il processo penale è lo strumento più invasivo che l’ordinamento possiede.
Strategie difensive in caso di sequestro: checklist essenziale
Se scatta un sequestro, l’impresa dovrebbe muoversi con metodo. Preparare un dossier di conformità con certificati dei semi, prove di tracciabilità dei lotti, schede analitiche recenti e fotografie del materiale oggetto di controllo; verificare che il prelievo sia avvenuto secondo un piano di campionamento rappresentativo, con pesi e sigilli annotati; pretendere il doppio campione per la controanalisi e la corretta tracciatura della catena di custodia; richiedere analisi su THC attivo con metodi HPLC/GC e indicazione dell’incertezza di misura; depositare memoria difensiva richiamando la centralità dell’offensività in concreto e i precedenti sul punto; formulare tempestivamente istanza di restituzione quando emergono lacune probatorie.
Non si vince “di furbizia”, ma di rigore: la solidità dei numeri – e la loro corretta acquisizione – è la migliore alleata della trasparenza.
Oltre i casi singoli: cosa ci dicono davvero le decisioni di ottobre
Le tre pronunce non istituiscono un “liberi tutti”, né legalizzano la cannabis per via giurisprudenziale. Dicono, più sobriamente, che il diritto penale non è un riflesso condizionato: serve una prova seria, comparabile, ripetibile. In assenza di tale prova, il margine di errore dei narcotest e l’incertezza su campioni e metodi non bastano a giustificare restrizioni della libertà o stigmi penali sull’attività economica. È una conclusione che ricalibra il sistema: non indebolisce la tutela della salute pubblica, ma la rafforza, perché seleziona le condotte davvero offensive e sgonfia quelle che offensive non sono.
Per il settore, l’effetto è anche culturale: l’attenzione si sposta dal titolo di giornale al rapporto di prova; dalla suggestione del “fiore” alla misurazione del THC attivo; dal sospetto alla tracciabilità. È un invito a investire in qualità, formazione, procedure.
Conclusioni
La rotta è tracciata: senza prova analitica dell’efficacia drogante non c’è reato. Le decisioni di Palermo, Belluno e Torino non aboliscono l’articolo 18, ma ne svuotano gli automatismi. È una vittoria della scienza e del diritto insieme: offensività in concreto, proporzionalità, metodi validati, laboratori accreditati, controanalisi. Per la filiera la sfida è organizzarsi: tracciabilità, procedure, formazione e alleanze con tossicologi forensi e laboratori. Per le istituzioni l’opportunità è uniformare prassi e linee guida all’orientamento consolidato – dai tribunali territoriali ai precedenti di legittimità – così da coniugare sicurezza pubblica e dignità delle imprese. Il messaggio che arriva dalle aule è netto e maturo: meno ideologia, più prova. È così che si proteggono persone, mercato e stato di diritto.
FAQ
L’articolo 18 vieta sempre i fiori di canapa o dopo le ultime decisioni conta la prova scientifica?
No. Le pronunce di Palermo, Belluno e Torino mostrano che senza prova dell’“efficacia drogante” non c’è reato: il divieto non è automatico. Servono campionamento rappresentativo, misura del THC attivo (post-decarbossilazione) in laboratori accreditati e un rapporto tecnico che colleghi i numeri a un reale effetto psicoattivo. In assenza di questi elementi, sequestri e arresti crollano.
I narcotest da campo bastano per sequestrare e condannare dopo le decisioni di ottobre?
No. I test rapidi sono solo indicativi: non provano l’offensività in concreto. Occorrono analisi HPLC/GC su campioni a peso costante, doppio campione per controanalisi, catena di custodia tracciata e incertezza di misura dichiarata. Senza quantificazione del THC attivo, l’accertamento è fragile e l’esito tipico è archiviazione o dissequestro.
“Sotto lo 0,6%” è una soglia legale o un riferimento forense?
È un riferimento tossicologico-forense, non una nuova soglia di legge. Può orientare la valutazione, ma il criterio decisivo resta la prova dell’efficacia drogante con metodiche valide e perizia: non basta il numero isolato.
Come mi tutelo in caso di controllo o sequestro di cannabis light?
Prepara un dossier di conformità (semi UE, tracciabilità lotti, schede analitiche aggiornate con THC attivo, etichette chiare), pretendi campionamento rappresentativo, doppio campione sigillato, invio a laboratorio ISO 17025 e controanalisi. Se mancano i requisiti scientifici, presenta istanza di restituzione richiamando l’offensività in concreto e gli orientamenti recenti.
Cosa cambia per negozi e coltivatori dopo Palermo, Belluno e Torino?
Più spazio ad archiviazioni e dissequestri quando mancano numeri e metodi; meno automatismi punitivi. Alza la compliance: analisi aggiornate, manuali interni, tracciabilità, catena di custodia documentabile, contratti di filiera, formazione su campionamenti e gestione del doppio campione. Per le forze dell’ordine vale “misurare prima di accusare”: il penale scatta solo con prova tecnica.